RASSEGNA STAMPA

LA REPUBBLICA - "La Diaz? Non un colpo di testa"

Genova, 2 luglio 2009

"La Diaz? Non un colpo di testa"
Giuliani e Agnoletto tornano all´attacco "Spiegateci perché chi ha sbagliato ha fatto carriera"

L´ex portavoce del Genoa Social Forum: il processo porta sul banco degli imputati anche Scajola
L´interrogativo di Agnoletto e Giuliani "Perché oggi è capo dei servizi segreti?""Non è possibile che, alla Diaz, un centinaio di agenti abbia commesso reati in serie senza avere le spalle coperte"
Il padre di Carlo: "So bene che in galera non andrà mai nessuno ma è importante essere arrivati a una richiesta di condanna"

WANDA VALLI

Uno, Vittorio Agnoletto, nel 2001 era eurodeputato di Rifondazione e è stato il portavoce del Genoa Social Forum, il protagonista politico del G8 dei manifestanti, che ha vissuto la Diaz, i pestaggi di Bolzaneto, e, prima ancora, i fatti di piazza Alimonda. L´altro Giuliano Giuliani, ex sindacalista Cgil si è ritrovato in primo piano per la tragedia che lo ha colpito: la morte, a vent´anni, di suo figlio Carlo, ucciso venerdì pomeriggio 20 luglio, in piazza Alimonda. Da allora entrambi hanno seguito tutte le vicende legate al G8, i processi (ma per Carlo non c´è stato), adesso commentano la richiesta da parte dell´Accusa, in un procedimento che è una costola di quello della Diaz, di una condanna a due anni, per istigazione alla falsa testimonianza per l´ex capo della polizia ora al vertice dei servizi segreti, il prefetto Gianni De Gennaro. E se Giuliano Giuliani sottolinea che è comunque importante l´essere arrivati a un punto simile, anche se De Gennaro come gli altri «hanno solo avuto benefici di carriera», Vittorio Agnoletto, ritiene che l´attuale direttore del Dis, il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, proprio per il ruolo che ricopre «di garante della Costituzione, come capo dei servizi segreti», doveva fare un passo indietro. Per lasciare più libero chi deve giudicarlo. E poi ricorda: per la delicatezza delle questioni che si incrociano, dal blitz alla Diaz al ruolo operativo degli imputati, il processo «avrebbe dovuto essere pubblico e non a porte chiuse, con il rito abbreviato». Mentre ritorna in primo piano il ruolo del governo di allora.
Il ragionamento di Vittorio Agnoletto riparte da quella notte alla Diaz: «avevamo sempre pensato che non era possibile che, di colpo, un centinaio di poliziotti commettessero reati di vario tipo, senza una catena di comando alle loro spalle». Non poteva essere perché il blitz alla Diaz è avvenuto nella notte, quindi « a freddo», non durante scontri di piazza.
In più per quel blitz, Amnesty International sentenzia che in Italia è avvenuta «la sospensione della Costituzione, dunque «il processo doveva essere pubblico per questo e perché ha come imputato una delle maggiori autorità dello Stato». Agnoletto aggiunge: «Il mio non è un giudizio di merito sulla persona, su Gianni De Gennaro, che nella sua carriera è stato protagonista di diverse importanti vicende, il mio è un giudizio su un fatto storico, il G8 e su un episodio, il blitz alla Diaz». Un giudizio del tutto negativo per almeno tre ragioni: quei 100 e più poliziotti che hanno fatto irruzione, pestato e malmenato i ragazzi che dormivano, portato dentro prove false, «o avevano alle spalle la catena di comando che li proteggeva, o erano stati garantiti nell´impunità». Perché, se così non fosse stato «dovremmo pensare che di colpo, sempre quei poliziotti, siano impazziti». L´altro tassello fondamentale per capire sono le intercettazioni: «al di là di quella che sarà la decisione del gip, quelle conversazioni al telefono mettono in evidenza elementi inquietanti, tolgono ulteriore credibilità all´ex capo della Polizia, lui avrebbe dovuto fare un passo indietro, proprio perché garante dalla Costituzione nel suo ruolo attuale e lasciare più liberi i magistrati che devono giudicare». Infine, questo processo in particolare, ragiona Agnoletto, «porta sul banco degli imputati l´esecutivo di allora, con il ministro dell´Interno Scajola che, nella commissione di indagine parlamentare dice "io non ne sapevo nulla"». E, infine, c´è una constatazione: «tutti quelli che ora sono imputati, sono stati promossi, quindi hanno il consenso, la fiducia, della politica». Giuliano Giuliani, intanto, sottolinea l´importanza di essere arrivati «a una richiesta di condanna, qualunque sia, per chi è ritenuto uno dei principali responsabili di quanto accaduto. Non mi interessano gli anni di carcere, né lui né gli altri andranno mai in galera, resta un interrogativo inquietante: De Gennaro è il capo dei servizi segreti unificati, è il custode della democrazia italiana che, da questa vicenda, sembra uscire con nuovi problemi».
Non è certo un capo della Polizia forte quello che deve chiedere a un suo sottoposto di riferire il falso, ragiona Giuliani, poi allarga il discorso e arriva all´ex questore di Genova, Francesco Colucci: « se ha mentito, come sembra, per dar retta al capo, non si capisce perché - o meglio si capisce benissimo - come mai si è ritrovato a essere uno tra i prefetti più importanti d´Italia, il numero sette fra tutti, tanto da avere suscitato le proteste perfino dall´Associazione dei Prefetti che non mi pare sia esattamente vicina al movimento no global».